Le gratitudini

“Le gratitudini” di Delphine de Vigan

Di Margherita Sforza

Delphine de Vigan, ne “Le gratitudini”, ci esorta da subito a riflettere su quante volte al giorno diciamo grazie e in quali occasioni lo facciamo, per individuare i diversi sentimenti che quella parola può veicolare a seconda delle circostanze.

I grazie

Ci sono i grazie meccanici e di cortesia, quasi vuoti, quelli professionali e quelli insistiti che evocano l’idea di un rituale di formalità ma che, probabilmente, non sono i grazie che davvero esprimono un sentimento di riconoscenza (quelli sentiti).

Lo spunto dei grazie omessi porta a pensare che possano essere tali quelli che non pronunciamo perché, presi dalla frenesia del quotidiano, ci ritroviamo a vivere momenti importanti senza la giusta consapevolezza.

Possono essere omessi anche quei grazie così importanti che la parola sembra non essere sufficiente: in certi casi, la gratitudine è un sentimento da esplicitare in modo diverso, forse proprio perché si abusa, nella vita quotidiana, dei grazie vuoti.

La gratitudine

Provare gratitudine è un grande dono e allo stesso tempo, una fortuna.

La gratitudine ci consente di vivere meglio, nonostante i problemi quotidiani che spesso possono essere ridimensionati se ci si riflette dalla giusta prospettiva. Nel caso più eclatante del “grazie alla vita”, ad esempio, la consapevolezza della fortuna che si ha, solo per il fatto di essere vivi, non può che fare bene.

Non tutti hanno molte occasioni per essere grati e non tutti sanno riconoscere il sentimento di gratitudine, anche quando avrebbero di che essere grati.

Provare una gratitudine vera per qualcosa o per qualcuno ci fa sentire privilegiati, fa provare il desiderio di fare qualcosa per essere degni di quella fortuna e innesca, se ben compreso, un moto di positività che può diffondersi.

È un dono ed è una fortuna, non solo poter provare e saper riconoscere la gratitudine ma anche sapere come fare a ringraziare.

“Le gratitudini” nel libro

Marie nel libro si domanda “come si misura la gratitudine”. Lei ha avuto la fortuna di riconoscere il sentimento di gratitudine, la consapevolezza di sapere per che cosa e per chi fosse grata, la maturità di individuare il momento in cui il tempo per poter esprimere quella gratitudine era agli sgoccioli, per poterlo sfruttare pienamente.

Per questo è riuscita a stare vicina a Michka in un momento terribile della sua vita. Poter stare vicini alle persone alle quali si deve molto, anziché accorgersi della gratitudine quando è troppo tardi per poterla manifestare, è di grande conforto.

Anche Michka è consapevole della gratitudine che prova nei confronti della coppia che l’ha salvata quando era piccola ma, a differenza di Marie, vive con la pena di non poter ringraziare.

Forse, anche vivere con questo pensiero è un modo di provare gratitudine ed essere consapevoli. Forse questo pensiero ci può spingere ad andare avanti e a non mollare, perché essere depositari di un sentimento così importante non ci consente di sprecarlo.

Per entrambe, Marie e Michka, la consapevolezza sul sentimento di gratitudine deriva da un passato difficile di sofferenza e di privazioni, soprattutto affettive.

Capita spesso di vedere che proprio la sofferenza, elaborata con maturità, aiuta ad essere consapevoli. È possibile che la stessa consapevolezza e la capacità di essere grati derivino anche da esperienze positive e di benessere?

La verbalizzazione

Il tema della gratitudine è il filo conduttore di tutto il libro ed emerge anche quando Marie racconta a Michka il film che ha visto la sera prima, che è poi spunto per ringraziare l’amica, stavolta con le parole e non solo con la presenza.

In un passo del libro, Michka spiega a Jerome che “Credi sempre di avere il tempo di dire le cose e poi all’improvviso è troppo tardi. Credi che basti mostrare, fare gesti, ma non è vero, bisogna dire. Dire, questa parola le piace tanto. Le parole contano”.

Il tema del verbalizzare o meno certi sentimenti riaffiora in più occasioni: in alcuni passi è Jerome a spiegare, dal suo punto di vista professionale, che “a volte bisogna assumersi il vuoto lasciato dalla perdita. Rinunciare a qualunque diversivo. Accettare che non c’è più niente da dire. Stare seduto vicino a lei. Prenderle la mano” e in altri è Marie a confessarci “Non è vero. Non immagino un bel niente. Perché è inimmaginabile. Appoggio un braccio sul suo. Cerco qualcosa da dire, qualcosa che la conforti […] ma ognuna di queste frasi è un insulto alla donna che è stata. Allora non dico niente. Mi limito a restarle accanto”.

Il tema del suicidio

“Che donna è stata Michka” lo si capisce da tanti accenni sparsi nel romanzo: è stata una donna che ha avuto un’infanzia difficile e che cerca in tutti i modi, con determinazione, di far riavvicinare Jerome a suo padre. È stata una donna indipendente che non vuole essere di peso alla sua amica Marie (che pure ha cresciuto come una figlia). Una donna diretta, che ancora non ha paura di chiamare le cose come stanno, una donna coraggiosa che, con freddezza, tiene da parte le pastiglie di sonnifero ed il whisky “per essere libera”, per sapere che “è possibile andare finché c’è ancora vento”.

È un tema solo accennato, quello del suicidio, non viene esplicitato in modo chiaro ma forse anche e proprio per questo, colpisce in profondità, toglie il fiato per un momento e poi resta nella mente.

Quando Michka esce di casa per l’ultima volta sa che non tornerà più e Marie capisce che la sua amica ha sbrigato tutte le sue faccende, consapevole di aver “mollato gli ormeggi” per un viaggio senza ritorno.

È difficile capire fino in fondo o anche solo riuscire ad immaginare la vastità dei sentimenti che portano a perdere la voglia di vivere, può succedere perché “senza la parola, cosa resta?” oppure perché finalmente si è compiuta la propria missione e quel grazie importante è stato detto?

Il tema della vecchiaia

Uno dei temi principali, oltre alla gratitudine, è quello della vecchiaia.

Jerome la descrive come un “imparare a perdere” e con il suo occhio professionale, ricerca nelle persone che incontra “l’immagine del Prima”.

Marie ne osserva gli effetti nel suo rapporto con l’amica: vede che la nuova vita di Michka “è fatta di passettini, sonnellini, merendine, uscitine, visitine”. Si rende conto di parlare alla sua amica come ad una bambina e rimane ammutolita dal senso di impotenza che la assale dopo le telefonate sempre più stentate.

Il tema è trattato con delicatezza, si prova un senso di dolcezza a seguire i pensieri di Marie; anche Jerome nota e descrive lo smarrimento e le debolezze di Michka ma traspare l’affetto in tutte le sue considerazioni, oltre alla passione per il suo lavoro.

C’è un’osservazione attenta di molti aspetti della condizione di vita della vecchiaia: quelli legati al contatto fisico, alla perdita dell’autonomia e della privacy, il persistere dei dolori dell’infanzia.

Le vicende dell’infanzia ritornano nei sogni di Michka, rivisitate e trasposte in quelle attuali, in quel modo confuso, originale e assurdo che è frutto dell’elaborazione personale ed inconscia. Nei sogni, a Michka non sfuggono più le parole ma trova tutto semplice, allegro e dolce come lo era prima. Nei sogni, Michka si ritrova a danzare, e nella danza tutte le costrizioni e le rigidità, fisiche e psicologiche, spariscono e si sciolgono nella leggerezza dei movimenti che la riportano ad un mondo di bambina e di ragazza.

Anche Marie, più avanti nel testo, immagina di trovare conforto, una volta raggiunta la vecchiaia, nel ricordo di quando poteva ballare.

Il tema del ricordo

E infine, c’è il tema del ricordo di chi ormai non c’è più, soprattutto nel difficile momento in cui si deve prendere atto della perdita.

Ci sono tutte quelle parole convenzionali, goffe, che si dicono in questi casi. Per consolare gli altri. Cercare di alleviare il loro dolore. E insieme il nostro”.

Ma quelle parole non vanno bene per Michka, non sono adatte alla donna che è stata. Chi l’ha amata lo sa e per questo Marie e Jerome, che fino a quel momento non si erano ancora incontrati, con tacita intesa, iniziano il loro primo dialogo usando con dolce ironia le parole storpiate che Michka non riusciva più a pronunciare correttamente.

Perché, in certi casi, l’ironia può essere un tributo ben più commovente delle parole convenzionali. 

Lettura Paziente

Questo libro fa parte delle letture consigliate dai lettori volontari del progetto “Lettura Paziente”. Per saperne di più clicca qua!

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