Quale partigiano?

Quale partigiano?

La grande storia del Partigiano Johnny

Quale partigiano? Quello di Mondo, quello di Corti o quello di Isella? Perché di Johnny non ne esiste solo uno. Non esiste solo il partigiano nato dalla penna (e dall’esperienza “su in collina”) di Beppe Fenoglio, il padre biologico della scrittura. L’autore in carne ed ossa di pagine memorabili. Lo scrittore puro e infaticabile. Bilingue. L’anglofilo colto e riservato. L’uomo che, infine, e purtroppo, ha dovuto cedere al destino, e posare la penna prima del previsto.

Se non fosse stato per il lavoro di altri padri adottivi, primo in ordine di edizione, Lorenzo Mondo con il suo lavoro di raccolta e di sistemazione per Einaudi nel 1968, oggi non avremmo nessuna figura a cui appellarci.

Perché di questo si tratta. Di avere e conservare una cara figura di combattente per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Si tratta di avere sempre viva la memoria (non storiografica ma epica, eroica) del Resistente. Naturalmente, va conservata la memoria fattuale della Resistenza, una storiografia di date e di luoghi e di fatti, tutti assodati, documentati.

Ma al narratore fenogliano non chiediamo di informarci, a lui perdoniamo le inesattezze storiche su come, dove e quando sono andati i fatti. Al narratore fenogliano chiediamo la grandezza del Personaggio e un altissimo linguaggio con le radici nello stile classico italiano e le ramificazioni nella letteratura anglosassone. A lui chiediamo la personificazione di un’anima Resistente che funga da longevo modello di retta esistenza, anche per i contemporanei.

E se, nell’economia della narrazione, Fenoglio arriva ad anticipare o posticipare alcune battaglie allo scopo di farle combattere al suo Johnny, niente di male. Leggeremo in altri libri le informazioni puntuali.

Mentre di Johnny vogliamo solo avere un esempio morale. Quante lezioni potrebbe egli dare alla nostra decadenza!

Johnny 22 anni appena,  un uomo del suo tempo. Oggi, si sentirebbe apostrofato “sei solo un ragazzo”. Quando, invece, per dovere educativo, dovremmo dire a quel “ragazzo” (ai tanti nostri Johnny che, bene o male, ci sono e resistono e hanno valori) di aver coraggio, di sentirsi forti, e di farsi già attori protagonisti della società, nei tempi attuali. Questi tempi anziani. Una senile epoca. Un Johnny: caso mai servisse ancora, e serve, sì che serve, combattere per il bene dell’Italia.

Mutati i nemici della democrazia repubblicana  costituzionale, un Johnny, serve  sempre. 

Ma quale?

Non quello di Mondo, non quello di Corti, non quello di Isella, ma quello venuto alla luce grazie all’ultimo grande parto editoriale curato da Gabriele Pedullà che in maniera definitiva ha consegnato finalmente alla storia letteraria italiana, nella sua vera forma, l’opera lasciata incompiuta da Fenoglio.

Un’opera incompiuta

Parlo di opera incompiuta e non solo di un romanzo postumo come siamo stati abituati a pensare. “Il Partigiano Johnny” letto da generazioni (spero numerose) di italiani non è solo un romanzo. È parte di un’opera più ampia, più corposa delle edizioni “storiche”, un’opera oggi di circa 800 pagine titolata diversamente. Non più “Il partigiano Johnny” ma “Il libro di Johnny” nato da una sorta di archeologia editoriale: Pedullà ha portato alla luce gli antichi, primigeni, originari progetti di opera epica che Fenoglio aveva in mente. Che Fenoglio avrebbe realizzato se solo… . Seguiamo la ricostruzione di Pedullà.

Nel 1958 Fenoglio porta all’editore Garzanti un manoscritto di grandi dimensioni, circa 800 pagine. Si rende conto che la mole potrebbe scoraggiare l’editore e allora consegna in lettura solo la parte iniziale che titola “Primavera di bellezza” e propone a Garzanti di pubblicare il tutto in due volumi. In casa editrice storcono il naso. Non pare una buona idea. Fenoglio si lascia convincere. Niente pubblicazione in due volumi. Taglia e cuce e riscrive una conclusione ad hoc e acconsente alla pubblicazione solo della prima parte, 200 pagine circa.

“Primavera di bellezza”, appunto, esce nel 1959. È la storia di Johnny dal principio del 1943 fino all’8 settembre dello stesso anno. Il romanzo finisce con Johnny che entra nella Resistenza dopo l’8 settembre e subito muore, in un finale aggiunto tanto per dare un senso. E le altre 600 pagine?

Sarebbe stato da chiedere a Fenoglio stesso. Ma nel 1962 si ammala e muore prematuramente.

Le edizioni successive

Negli anni successivi, iniziano ad emergere dai cassetti frammenti di opere. Il “frammento” più appetitoso sembra essere quello relativo ad un “certo partigiano”. Ma esistono migliaia di pagine in disordine che ne raccontano le gesta. E, per di più, in una lingua mista tra italiano e inglese. Fenoglio scriveva regolarmente e correttamente in inglese.

Maturano i tempi, arriva il ‘68. Esce “Il Partigiano Johnny” per Einaudi. Un ideale di “ribelle” in un anno di ribellioni. Perfetto. Ma il titolo è deciso dal curatore, Lorenzo Mondo, che edita un testo molto rimaneggiato rispetto all’originale. Mondo vuole rendere il romanzo di Fenoglio  “leggibile”.

Un’operazione di tanto taglio e cucito che provoca il disappunto di Maria Corti, grande critica. Lei non ci sta e si mette al lavoro su tutte, ma proprio tutte, le carte. Ne viene fuori un’opera monumentale.

L’edizione della Corti è del 1978 e rivela che esistono addirittura tre stesure di quell’opera senza nome che tutti ormai già chiamano “Il Partigiano Johnny”. Fine della storia?

No. Il lavoro della Corti forgia un’opera per addetti ai lavori. I lettori comuni restano esclusi. La sua edizione è impossibile da affrontare per il pur volenteroso impiegato delle Poste.

E così nel 1992 Einaudi decide di dare una terza vita a Johnny. Affida una nuova edizione a Dante Isella. La versione Isella diventa il canone per le traduzioni. Viene letta a scuola. Questione Fenoglio/Johnny archiviata?

Non ancora.

Il disegno completo

Nel 2015, Pedullà riapre le danze e stavolta rende finalmente giustizia. Ricompone il progetto originario testimoniato nelle  lettere di Fenoglio. Rimette insieme i due libri “separati in casa Einaudi”. E oggi tutti possono apprezzare il fatto che “Primavera di bellezza” e “Il Partigiano Johnny” siano due pezzi di uno stesso puzzle.

Ricomposto il disegno fenogliano, il senso di una grande narrazione epica si dispiega. La lingua di Fenoglio esplode in tutto il suo arduo splendore. Non che sia sempre di gran scorrevolezza. Ci sono molti inserti in lingua inglese.

Ma riecheggia alto, solenne, lo stile. Fa trasparire i modelli classici di riferimento. Ora con Pedullà è chiara l’ispirazione di Fenoglio il quale, pensando a Johnny nel suo ciclo completo, aveva avuto da sempre in mente il modello virgiliano dell’Eneide. Ora, finalmente Johnny si erge in tutta la magnificenza eroica di un Resistente che lotta per un’Italia “alquanto piccola ma del tutto seria, un’altra Italia, un’Italia a modo nostro ma sempre Italia”.

Una cosa alquanto piccola ma del tutto seria. Essendo il fascismo d’allora e di oggi, che si riflette in dottrine neoliberiste, l’espressione di una grandezza buffonesca (e per di più tragica). 

Angelo d’Andrea


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